Amo la fotografia. Amo farla, ma amo anche moltissimo guardarla e cercare di capirla. Il Sale della Terra di Wim Wenders è un film-documentario che, sono sicuro, vi lascerà senza fiato. Scopriamo insieme perché.
Chi mi conosce sa che Sebastiao Salgado è, probabilmente, il fotografo che più apprezzo e che più di ogni altro mi incanta con il suo caratteristico bianco e nero. Per questo motivo, quando ho saputo dell’uscita del film-documentario di Wim Wenders Il Sale della Terra a lui dedicato, le mie aspettative sono state fin da subito altissime.
Capita di rado, infatti, di avere una prospettiva sul mondo interiore di un fotografo, sul processo creativo e artistico che lo porta ad affrontare un progetto fotografico lungo diversi anni che richiede un impegno fisico e di risorse enorme e che, soprattutto, è capace di modificare la nostra percezione del mondo in cui viviamo.
Chi è Sebastiao Salgado?
Sebastiao Salgado è un fotografo brasiliano nel 1944 nel cuore della regione amazzonica del Brasile. Formatosi come economista e statista, ha una svolta nella sua vita dopo una missione in Africa, a seguito della quale decide di intraprendere la carriera di fotografo professionista. La sua avventura fotografica inizia da fotoreporter, con interessantissimi reportage sulla siccità del Sahel, sulla condizione dei lavoratori immigrati in Europa, la rivoluzione portoghese del ’74 e le guerre coloniali in Angola e Mozambico. Nel 1979, entra nella prestigiosa cooperativa di fotografi Magnum Photos che, però, lascia nel 1994 per creare insieme alla moglie la Amazonas Images.
L’apertura di Amazonas Images coincide quasi esattamente con la pubblicazione de La mano dell’Uomo, una pubblicazione monumentale di circa 400 pagine che porta Salgado al grande pubblico e lo consacra come uno dei maggiori fotografi contemporanei.
I suoi lavori sono principalmente orientati su tematiche umanitarie e sociali. Dal 1993 al 1999 lavoro ad una mastodontica opera sulla migrazione umana che porterà alla realizzazione di numerosi reportage pubblicati su molteplici riviste internazionali.
L’inizio del III millennio coincide con una profonda crisi creativa da parte di Salgado, da cui esce nel 2003 iniziando a lavorare a Genesis, un progetto che lo occuperà ben 8 anni per oltre 30 reportage distinti in giro per il mondo. Per la prima volta, Salgado non osserva l’Uomo che è stato protagonista del suo lavoro fino a quel momento, ma si ferma a studiare attentamente la Terra e le culture più antiche che ancora riescono a sopravvivere alle minacce del mondo contemporaneo. Genesis produrrà un quantitativo di immagini spaventoso con l’obiettivo di riavvicinare l’Uomo contemporaneo alle proprie origini e alla propria Terra, passando per le foreste tropicali dell’Amazzonia, del Congo, dell’Indonesia e della Nuova Guinea fino ai ghiacciai dell’Antartide, dalla taiga dell’Alaska ai deserti dell’America e dell’Africa fino ad arrivare alle montagne dell’America, del Cile e della Siberia, incontrando non solo luoghi ed animali esotici e in pericolo, ma anche e soprattutto popolazioni e culture antichissime la cui sopravvivenza oggi è a rischio.
Il film
Il taglio molto intimo e privato dato al documentario dal regista Wim Wenders si ritrova perfettamente in una delle frasi chiave del film:
[blockquote author=”Sebastiao Salgado”]Una foto non parla solo di chi è ritratto, ma anche di chi ritrae.[/blockquote]
Sebbene per molti questa possa sembrare una banalità, si tratta davvero di uno dei pilastri dell’intera attività di Salgado e dello stesso film, che non solamente parla di luce dal punto di vista fotografico, ma anche della luce della conoscenza portata agli osservatori tramite la fotografia. Le immagini di Salgado, infatti, hanno consentito in oltre 40 anni di attività, di portare all’attenzione del pubblico fatti tragici e molto spesso trascurati della Storia dagli anni 70 ad oggi. Il fotografo brasiliano, infatti, ha scattato l’orrore del genocidio in Rwanda, la schiavitù contemporanea patita da lavoratori sottopagati e sfruttati in maniera disumana, le tremende condizioni di lavoro dei pompieri impegnati a spegnere i pozzi petroliferi incendiati da Saddam Hussein in Kuwait al termine della I Guerra del Golfo. Nel suo ultimo lavoro, Genesi, Salgado realizza un’opera che è un omaggio alla Terra e alle sue creature, quasi fosse un modo per esorcizzare gli orrori e le violenze di cui è stato testimone nel corso della sua vita.
Già, perché durante l’intero documentario sono tantissime le immagini crude, a tratti violente e che colpiscono con forza l’animo di chi guarda che sono presentate sullo schermo. Su queste immagini, Wenders ci si sofferma con maestria, invogliando lo spettatore a prendersi del tempo per osservare quelle immagini meravigliose che, al tempo stesso, scuotono violentemente il cuore e la mente. Bambini morti vittime della fame, ciò che resta di una scuola dopo una uccisione di massa in Rwanda, un bambino vestito di niente che affronta la siccità insieme al suo cane guardando l’orizzonte con fierezza, nobiltà d’animo e speranza nel futuro.
La sensazione più forte che ho avuto nei circa 100 minuto de Il Sale della Terra è che non si tratta di un film facile, una di quelle produzioni che vuole scatenare una reazione banale nello spettatore. E’ un viaggio non solo attraverso lo Spazio, ma anche attraverso il Tempo: le immagini delle miniere d’oro della Sierra Pelada, ad esempio, in una frazione di secondo ci riportano indietro ai tempi della realizzazione delle piramidi o dei grandi templi del Sud America.
Il Sale della Terra, quindi, è un film di una bellezza molto complessa, che lascia lo spettatore con delle domande aperte le cui risposte sono solamente accennate con grande delicatezza e senza urlare. Le stupende fotografie di Salgado e lo stile estremamente originale delle interviste realizzate da Wenders parlano direttamente all’animo dello spettatore, stimolando una riflessione e un desiderio di capire di più del nostro mondo.
Oltre a questo, c’è ovviamente una grande bellezza delle immagini mostrate e commentate dal grande fotografo brasiliano, e che sono le vere protagoniste.
Ciò che veramente colpisce di questi 100 minuti è quanto l’Uomo Salgado, più che il grande Fotografo osservatore della realtà, sia immerso completamente nel mondo che lo circonda e che lo porta a spiegare dettagliatamente l’analogia tra un rettile ed un guerriero medioevale.
In questo film-documentario si ha modo di apprezzare quella dualità, quell’eterno contrasto tra vite e morte, luce e ombra, distruzione e speranza che è alla base dell’intero lavoro di Sebastiao Salgado e che Wim Wenders è riuscito a trasmettere in maniera estremamente efficace.
Per questo motivo, se amate la fotografia e siete curiosi, se non avete avuto ancora modo di vederlo non posso fare a meno di consigliarvi la visione di questo bellissimo film.
Voi cosa ne pensate? Avete già visto Il Sale della Terra? Fateci sapere le vostre opinioni lasciando un commento qui in basso oppure mettendo “Mi piace” alla nostra pagina Facebook e partecipando alla discussione sulla nostra bacheca.
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